venerdì 8 aprile 2011

Lo ammetto, stavo pensando ai Poemetti in prosa.

Giaccio nel parco abituale, languidamente abbandonata quasi che non avessi più nulla a cui pensare.
Attendo paziente di riprendere coscienza del mio vecchio corpo sfiancato dal palpitare estenuante delle nuove anime che continuamente lo agitano.
La calma è fuggita da questo posto: esso è ebbro di rumori, odori pungenti, lontani passi affaticati dal peso dell'ora mattutina; la noia e l'attesa vagano irrequiete per i sentieri lastricati.
Lontano, poggiato ad un albero inclinato, elegantemente disinvolto, sta il Satiro del Rimpianto, che mi fissa terribile studiando questo mio attuale languore.
Il suo sguardo tuttavia non mi tocca, percepisco fra esso e il mio algido torpore una singolare distanza, come se ci trovassimo al di qua ed al di là di un' alta parete di ghiaccio mal lavorata, ricoperta di incrinature e bozzi.
Fosse anche che egli sia in attesa di me, non gli rivolgerei la parola in mille anni: ed egli seguita a battere furioso lo zoccolo infuocato sul terreno molle ed esalante, sbuffando dalle nari nuove nuvole d'angoscia in cui dovrò avvolgermi, più tardi, fuori dal parco abituale, dentro al paradiso pratico che rifuggo quale mortale malanno, lo so.

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