giovedì 30 settembre 2010

Giocoliere

A mio padre.

Sei un uomo
e lanci in aria
i tuoi sogni
tre per mano
in sacchetti colorati.

Risplendono nell'etere
come mille soli
di mille parole mai
dette alla gente per strada.

Stamattina ho truccato la tua faccia
nessuno può vedere
i tuoi occhi tristi
dietro l'ombretto amaranto.

Nemmeno tuo figlio
dall'altra parte della strada
legge sulla bocca, sul rossetto
le mille notti bianche
le mille parole mai
dette a tuo figlio
sulle tue ginocchia.

Ti sfugge uno dei sacchetti
mille dei tuoi sogni
mille delle tue lacrime sempre
applaudite dalla gente per strada:
non sono forse
parte dello spettacolo?

mercoledì 29 settembre 2010

Al posto del cuore nel petto, una penna in mano

Ti vorrei sollevare
su braccia d'amianto blu
che sono impossibili
come i sogni che soffio
su di te.

lunedì 27 settembre 2010

La colpa della collisione è esclusivamente da attribuirsi a.

Sento un po' come se il mondo fosse fuori
e sta girando veramente velocemente
Sento un po' come se il mondo fosse dentro
e mi sta passando fra le dita
facendo un rumore insopportabile
anche se non sta cadendo a terra
la terra.

giovedì 23 settembre 2010

Risorgimento

L'altro giorno mi sono sentita strana, e sono andata in piazza Risorgimento, sotto la statua di San Francesco che tutto guarda e tutto vede, ma pure niente abbraccia con le sue mani di granito.
Mi sono seduta ai suoi grandi giganti piedi sperando che mi desse un po' di conforto, e da lontano si stava avvicinando un uomo.
Indossava dei pantaloni bianchi, e una polo azzurra. Lo vidi attraversare la strada tra mille macchine che cominciarono a urlare e a puntare le zampe per terra, come ogni bestia che venga spaventata e voglia sentirsi più potente, e pensai che quell'uomo fosse pazzo.
Teneva infatti le mani incrociate dietro la schiena, e metteva un piede davanti all'altro solo dopo averlo osservato a lungo, come se un semplice arto possa davvero aiutare a muoversi nel mondo, e i capelli bianchi e lunghi erano schiaffeggiati dal vento, pure non sembravano svegliarsi.
Pensai che quell'uomo fosse pazzo, perchè muoveva la bocca come a sussurare a questo arrogante vento tutti i suoi pensieri.

Quando approdò sull'isola dove la mia statua orgogliosa si ergeva insieme a quella di San Francesco, lo osservai mentre si avvicinava a un altro uomo e gli urlava qualcosa gesticolando molto, per poi allontanarsi lasciandosi alle spalle uno sguardo sconcertato, forse un po' imbarazzato, sicuramente arrabbiato.
Poi si chinò ad accarezzare un cane, e sorrise come se si aspettasse una smorfia di ricambio, una zampa o un segno amichevole. Il cane lo annusò diffidente e scappò, anche la coda sdegnata, e davvero fui quasi convinta che quell'uomo fosse pazzo.

Cominciò a salire le scale e probabilmente mi vide, ma come ho giò detto, io quel giorno mi sentivo strana, e non m'importava più di tanto che un forse pazzo venisse a invadere i miei così chiamati spazi vitali.
Così insomma si sedette al mio fianco e mi chiese una sigaretta, fumammo insieme in silenzio e non riuscivo a pensare ad altro che alla sua pazzia.

E cominciò a parlarmi di Aristotele e dello stoicismo, delle correnti d'aria e delle statue di granito, dei bambini che attraversano senza guardare e della vita che continua tra mille pericoli, delle stelle e dell'influsso della luna, dei cani che sono come i padroni, dei veri padroni, dell'amore e dei tesori nascosti in un segreto intimo.
Tracciò nell'aria alcune figure geometriche e mi spiegò che erano una stronzata, e che l'armonia era data dalla bellezza infusa in ogni forma. Rise al ricordare che bisogna ricordare gli atomi e i legami che li tengono uniti, lui sapeva solo che non si sarebbero mai divisi; e mi confidò che quando udiva una lingua straniera traduceva solo gli occhi di chi parlava. E infine mi parlò di famiglia e chiesa, di colori e nuvole, di musica e biciclette, di caffè e giornali stracciati e venditori ambulanti e occhiali da vista e cioccolato e soprattutto di ottobre, perchè voleva portarsi avanti, aggiunse.

Volle stringermi la mano, e quando fece per andarsene io ancora non avevo detto nulla, perchè intimamente sentivo il momento speciale che in quel quarto d'ora era stato il mio personale mondo, al di fuori da tutti i limiti e pregiudizi, lo sentivo leggero nel petto come il vento che piegava gli steli d'erba in piazza Risorgimento.

Così salii sulla bici, e tornai a casa pedalando molto in fretta.
Forse ho sentito una donna dire a sua figlia, mentre le passavo accanto:
"Questa è pazza".

martedì 21 settembre 2010

Josif A. Brodskij, Verso il mare della dimenticanza

Verso il mare della dimenticanza

Non è necessario che tu mi ascolti, non è importante che tu senta le mie parole,
no, non è importante, ma io ti scrivo lo stesso (eppure sapessi com’è strano, per me, scriverti di nuovo,
com’è bizzarro rivivere un addio…)
Ciao, sono io che entro nel tuo silenzio.

Che vuoi che sia se non potrai vedere come qui ritorna primavera
mentre un uccello scuro ricomincia a frequentare questi rami,
proprio quando il vento riappare tra i lampioni, sotto i quali passavi in solitudine.
Torna anche il giorno e con lui il silenzio del tuo amore.

Io sono qui, ancora a passare le ore in quel luogo chiaro che ti vide amare e soffrire…

Difendo in me il ricordo del tuo volto, così inquietamente vinto;
so bene quanto questo ti sia indifferente, e non per cattiveria, bensì solo per la tenerezza
della tua solitudine, per la tua coriacea fermezza,
per il tuo imbarazzo, per quella tua silenziosa gioventù che non perdona.

Tutto quello che valichi e rimuovi
tutto quello che lambisci e poi nascondi,
tutto quello che è stato e ancora è, tutto quello che cancellerai in un colpo
di sera, di mattina, d’inverno, d’estate o a primavera
o sugli spenti prati autunnali - tutto resterà sempre con me.

Io accolgo il tuo regalo, il tuo mai spedito, leggero regalo,
un semplice peccato rimosso
che permette però alla mia vita di aprirsi in centinaia di varchi,

sull’amicizia che hai voluto concedermi
e che ti restituisco affinché tu non abbia a perderti.

Arrivederci, o magari addio.
Lìbrati, impossèssati del cielo con le ali del silenzio
oppure conquista, con il vascello dell’oblio, il vasto mare della dimenticanza.

(Josif Aleksandrovič Brodskij )

Prima citazione.
A 18 anni il primo esordio in una rivista clandestina, un uomo, Josif Aleksandrovic Brodskij, che porta le sue idee come uno stendardo sulla fronte.
Un orgoglio che viene subito premiato, è una brezza che soffia arrogante, nuova e bollente, nel gelido mondo sovietico; successivamente, a distanza di pochi anni, nel 64, il primo tentativo di repressione.
Il risultato di un processo scandaloso e scandalizzante sono 5 anni di lavori forzati, il germe di una prossima espatriazione che nel 72 porterà Brodskij negli Stati Uniti, dove già la sua opera è riconosciuta e ammirata.

Da qui la strada punta verso le stelle, dissipate le nuvole ad offuscare l'estro poetico di un artista che in questa poesia ci accompagna in una passeggiata, prendendoci sotto braccio, ed all'insegna del silenzio, nei luoghi di un amore finito e guardato con una sottile vena di nostalgico rimpianto, che pure non gli impedisce di apprezzare ciò che è stato ricevuto, nè di lamentarsi che tale riconoscenza non sia ricambiata.

Al termine di un lungo inverno il poeta si permette di disturbare l'imperturbabilità di una donna che ha amato, e se la primavera porta con sè nuova vita e colore, egli preferisce perdersi nella dolcezza di un momento intimo fatto di tracce sull' anima, conservate accuratamente, nel tentativo di trascinare con sè questo tu ricorrente cui si rivolge, ad evitare un viaggio disperato e senza speranza verso il mare della dimenticanza.
Viaggio che talvolta non può essere impedito nemmeno dal dono che a sua volta, alla fine, all'ultimo momento, quando già tutto è finito e rimane solo un luogo chiaro fatto di immagini nella mente, Brodskij si permette di lasciare in pegno, in segno di riconoscimento: l'amicizia che in passato, e forse non intenzionalmente, ricevette a sua volta, che gli aprì gli occhi dello spirito su cose nuove nel mondo {cfr.
che permette però alla mia vita di aprirsi in centinaia di varchi}.
Non lo chiede indietro, l'ultima stanza assomiglia più a un saluto finale, a un malinconico addio che contiene in sè un'esortazione a essere vincente, a possedere il mondo con la propria essenza, la stessa essenza che possedette il suo cuore, e dall'altro il cupo timore dell'ulteriore possibilità che un individuo può trovare sul proprio cammino arrivando a un certo punto della propria vita: salpare sul nero vascello dell'assenteismo, dell'apatia, dell'indifferenza, e affondare, seppur incoronati, nel denso mare della dimenticanza.

Importante lo sfondo silenzioso che viene imposto: il poeta non si cura di essere udito dall'antico amore, che è pure a sua volta silenzioso ormai, ed è lì ad accoglierlo quando bussa alle sue porte. E sempre silenziosa è la gioventù che concorre ad allontanarli, e infine del silenzio sono le ali che potrebbero condurre a un finale migliore lo stato di solitudine raggiunto ormai da entrambi.

Nel 1987 Brodskij ricevette un Nobel per la letteratura, e 4 anni dopo venne insignito della carica di poeta laureato statinutense, per morire nel 96, solo, nel suo appartamento, all'età di 56 anni.
Tutto ciò che posso ancora ricordare è che non solo egli si è librato, a lungo, ben al di sopra di quel mare di dimenticanza, ma permette ancora una volta attraverso l'amore di impossessarci a nostra volta del meraviglioso cielo che quasi sembra solo aspettarci, lassù.


Giudice: Qual è la tua professione?
Brodskij: Traduttore e poeta.
Giudice: Chi ti ha riconosciuto come poeta? Chi ti ha arruolato nei ranghi dei poeti?
Brodskij: Nessuno. Chi mi ha arruolato nei ranghi del genere umano?
(Estratto dagli atti del processo del 64)

domenica 19 settembre 2010

Ad un uomo virtuoso (S.A.)

Occhi bianchi
senza pupille
sfidano la morte,
tastano l'infinito.
Occhi bianchi
mi seguono
seguono me,
il mio animo sfinito.
Occhi bianchi
mi fanno compagnia, tu

sei partito.

venerdì 17 settembre 2010

4.57 a.m.

Dormi fino a mezzogiorno
e ti dimentichi
di spegnere la luce
dentro di te.

Così io la guardo
guizza a ogni tuo respiro:
nel tuo petto si espande
un'alba infinita.

I tuoi capelli
sono la poesia in vita
dei tuoi pensieri attorcigliati:
mi stai sognando, amore mio?

Ti guardo mentre dormi,
tu sorridi nel sonno.

Good times, good times.

Nuovo blog, chissà per quale motivo.
Un po' stile lucertola, che lascia la coda staccarsi quando sente che è finita, per andare a farsela ricrescere da qualche parte, le mie parole in nero sfondo grigio ora sono qui..

Good morning, world.