sabato 30 aprile 2011

Avrò 12 anni suppergiù e una risata stupida.

Ieri notte qualcuno ha riempito il mio materasso
con tutte le stelle che ci sono al cielo
e mi son alzata con gli occhi azzurrini
e la schiena tutta segnata e dolorante.
Mi chiedo perchè l'abbiano fatto
io non ho dormito affatto, sognavo
la Luna incinta
(di me, credo). Stasera sto affumicando
la stanza così
1) i figli della Luna nascono con mutazioni
e non ci saranno mai più le stelle (piango)
2) qualcuno maledetto burlone
rimane fregato
3) io non sogno
come un' adolescente fluorescente.
Tre motivi bastano e avanzano
per giustificarmi la vergogna
di avervi dato ragione
(bastardi).

mercoledì 27 aprile 2011

Presso la casa sul mare.

La casa è vuota
e trema a ogni incerto passo.
Non temere, continuo
a cercarmi, ma è febbre
eterna senza i tuoi baci
sulle dita. La casa
è vuota e morta
mi cerco in una
conchiglia spezzata
e sembro cadere all'indietro.
Pulsavo e l'aria
conservava gelato il mio corpo sciolto;
ora mi appoggio ai muri
mentre perduta mi cerco:
muri si sgretolano sui frammenti
delle mie ossa in pezzi sparse.
E' uan risacca la nostalgia
che torna e s'infrange
nelle mie vuote braccia.
Ditemi se è questo il senso
d'avere una conchiglia
e delle dita, se si
spezzano e vagano
in quello che si chiama Nulla,
sussurro di sehnsucht.

domenica 24 aprile 2011

Sonetto concreto.

Le sorelle s'ornano di mirto
nell'incedere verso l'Aperto Nulla
della sanguigna mattina autunnale,
s'ornano di mirto e mischiano
lacrime dorate allo screziato
arrivo del Sole. Tossiscono
ed è sangue sulle mani,
ma accogliere vogliono il Padre
che benevolo le attanaglia
laggiù, verso l'estremo orizzonte.
E sono di mirto, lacrime e sangue
le impervie strade d'autunno
del loro incedere affaticato;
temono d'incontrare la Morte
al loro arrivo insperato
e non si sono affatto preparate.

martedì 12 aprile 2011

Ordinary teenagers.

Stavamo fumando così tanto che non si riconosceva più il grigio delle pareti da quello della cappa morbida di Golden Virginia esalante dalle nostre bocche umide.
Pochi minuti prima avevamo finito di studiare, di discutere su Bela Lugosi, sul protojazz, sui conti e marchesi, sulla politica, sul sesso, sulla zoologia, su amici in comune, ora avevamo un cielo di primavera tutto per noi su un soffitto bianco intonaco, non ci importava di essere chiusi in casa, su un letto vecchio e circondati da libri di scuola; il rumore del caffè che sale si sentiva attraverso la porta chiusa, aspettavamo con gli occhi lucidi e rossi, abbracciati stretti e freddi, aspettavamo.
Si ascoltavano i Nouvelle Vague senza saper bene cosa pensarne, perchè non riuscivamo a smettere anche se fanno musica strana, stuzzicano capolavori del passato in cover un po' così e tutto il resto, ma non siamo riusciti a smettere di ascoltare la loro versione dei Bauhaus fino a quando non ha cominciato a piovere in quel modo così improvviso.
Ci siamo spaventati, scossi di dosso l'apatia per correre al vetro e guardare, guardare. Non abbiamo fatto più nient'altro per i dieci minuti che è durata la scarica di gocce.
Sembravano volersi scagliare su di noi con una violenza indicibile, volerci colpire, ributtarci a terra, spalancarci bocca e occhi, muoverci: potevo leggere le mie stesse percezioni nei suoi occhi mentre andava a chiudere lo stereo.
E poi è spuntato questo cielo pazzesco e noi si stava ancora, nel più completo silenzio, a fissarlo riflesso nelle finestre della casa di fronte, ricoperta di graffiti nella zona suburbana dove abita, gonfia di ribellione e pugni in tasca.
Grazie a dio abita a un piano alto, perchè quelle nuvole miste a vene di sole, così vicine, così massicce e accoglienti, ci hanno spaccato i fragili specchi di feticci adolescenziali dagli occhi.
Poi certo, abbiamo ricominciato a parlare, a dire cose vaghe, a sparare sentenze, ma era diverso: non ero più solo io a sentire quel disagio, quell' inappetenza, quel cattivo odore di assenza e vacuità.
C'era la condivisione di una consapevolezza: che in un pomeriggio ci stavamo alienando per bene, in questo pomeriggio i nostri diciassette anni ci pesavano sulle magliette di rockband incattivite quasi quanto i Nouvelle Vague ci pesavano nelle orecchie.
E' estremamente interessante che in quel momento non riuscissimo a smettere di ascoltarli, è estremamente interessante che per quanto tempo passi, per quante parole si sprechino, pare che non smettiamo mai di avere diciassette anni.

Oh, Bela Lugosi, I'm dead, I'm dead, I'm dead..

La ballata di Rugiada

Fratello di Sole
nacque al piangere d'Alba
Rugiada il suo nome
corpo di acqua

Figlio di lacrime
d'indole languente
corre per l'erba
al mattino sfuggente

E fervide impronte
ha lasciato su steli
di luna e mattino
il Fratello di Sole
Rugiada figlio di pianto

Sfuggendo lacrimosa madre
cercando luminoso fratello
perdendo il destino in tracce
a noi auspici di buona speranza

Un giorno verrà alla Rupe
del Fine, lui corre lo sa
che su roccia il piede scivolato
Rugiada cadrà fra le braccia
di Allba sconvolta
coprendo il mondo di
umide impronte nell'aria.

domenica 10 aprile 2011

Si ringraziano i Noir Desir, nella versione Tiersen.

Piccola sorella delle mie notti,
brindiamo.
Scosta i capelli dal bicchiere,
stiamo
a mormorare in versi la nostra
compagnia
Piccola sorella delle mie notti,
sono felice che tu sia sempre qui.

Prima di bagnarci le labbra del suo nome
di nasconderci nei cuscini fondi
di volerci annullare e rinascere
brindiamo

alla gioia che attanaglia
ai colori delle primavere sfiorite
agli abbracci degli amanti
ai dolori che si rassodano d'estate
all'inaccessibilità delle volte notturni
agli amici
alle mani di Madama Musica
alla sabbia che riempe la bocca al mattino
al languore che distrugge gli istanti
al sapore del sole inclinato
allo sfarsi della luce
ai frammenti di passato
alla morte che si nasconde nelle settimane
ai parchi abituali
ai significati celati dietro alle parole
alla disperazione della ripetitività
alla noia
all'oro dei tuoi occhi
al pallore delle guance di voglia ricoperte
alla fatica dei passi
alla maledetta malinconia
alle braci che portiamo nel cuore
alla nostalgia 
ai lenti tentativi di vita

per sempre brindiamo,
piccola sorella delle mie notti
io brindo a te.

venerdì 8 aprile 2011

Lo ammetto, stavo pensando ai Poemetti in prosa.

Giaccio nel parco abituale, languidamente abbandonata quasi che non avessi più nulla a cui pensare.
Attendo paziente di riprendere coscienza del mio vecchio corpo sfiancato dal palpitare estenuante delle nuove anime che continuamente lo agitano.
La calma è fuggita da questo posto: esso è ebbro di rumori, odori pungenti, lontani passi affaticati dal peso dell'ora mattutina; la noia e l'attesa vagano irrequiete per i sentieri lastricati.
Lontano, poggiato ad un albero inclinato, elegantemente disinvolto, sta il Satiro del Rimpianto, che mi fissa terribile studiando questo mio attuale languore.
Il suo sguardo tuttavia non mi tocca, percepisco fra esso e il mio algido torpore una singolare distanza, come se ci trovassimo al di qua ed al di là di un' alta parete di ghiaccio mal lavorata, ricoperta di incrinature e bozzi.
Fosse anche che egli sia in attesa di me, non gli rivolgerei la parola in mille anni: ed egli seguita a battere furioso lo zoccolo infuocato sul terreno molle ed esalante, sbuffando dalle nari nuove nuvole d'angoscia in cui dovrò avvolgermi, più tardi, fuori dal parco abituale, dentro al paradiso pratico che rifuggo quale mortale malanno, lo so.

martedì 5 aprile 2011

April's Baby

Corre la bimba dagli occhi di cielo
con l'aquilone traccia il mio nome
nel cielo

pieno di sole e di piccoli denti
nel mese che porta il mio nome:
Aprile è innamorato.

Aprile dovresti darmi
cinque nuvole e zero lamenti
e restituiscimi il cuore 
che lo stesso lo senti
batte forte per te.

Gioca la bimba dagli occhi di cielo
per me un nuovo gioco ha inventato
chiamare i fiori con un suono
e la musica è talmente bella
che lei è troppo piccola per capire.

Aprile dovresti credermi
imprestami i cieli 

mi servono per farti un regalo:
voglio colorarli d'eterno
e stare fra le tue dita per sempre.

E tu puoi cantarmi quello che vuoi
bimba dagli occhi di cielo
e gioca e corri
che io ti amo sereno.

domenica 3 aprile 2011

Papà se n'è andato.

Camminava sulle mani
su una strada di foglie di diamante
incedeva lento sempre più lontano

i suoi occhi di un colore strano
sconosciuto ardevano nella luce di maggio
- io nascevo a ogni passo sulle palme

che lo trasportavano in un mondo lontano
dove in autunno cadono foglie di diamante
e sanguinano le mani lasciando brillanti tracce.

Dimenticavo il suo volto
stupita dall'aggraziato incedere vago
mi perdevo sul sentiero di fragole
del suo sangue nel mio sangue

ma non l'ho più cercato
quell'autunno di maggio splendente
terribile e lontano
"Papà se n'è andato"