giovedì 14 ottobre 2010

Il poeta triste

C'era una volta un poeta che era davvero molto, molto triste.
Ogni giorno scriveva tantissime poesie sulla sua tristezza, e poi le metteva fuori dalla porta in mucchi di fogli.
Così al mattino la gente passava e li raccoglieva, e considerava il poeta triste il più grande poeta di tutti i tempi, perchè tutti sapevano a memoria le sue poesie sulla sua tristezza, e le scrivevano sui muri, e se ne parlava nei bar, e nelle scuole.
Il poeta triste era triste perchè le sue dita non si macchiavano mai dell'inchiostro nero con cui scriveva le sue poesie, e aveva tutta la pelle bianca: infatti tutti credono che la tristezza sia nera, invece è bianca, bianchissima, tanto che acceca chi la guarda e dopo non si riesce per un sacco di tempo a vedere più niente di niente.
Insomma, il poeta triste era sempre molto triste.
Un pomeriggio si addormentò sul divano, e dormì per moltissimo tempo.
Quando si svegliò, fuori dalla finestra era tutto bianco, ma nel suo soggiorno c'era un tappeto che non c'era mai stato.
Era davvero un tappeto bruttissimo: tutto nero, informe e pieno di bozzi e nodi.
Il poeta triste non riusciva a smettere di guardarlo e di pensare che era il tappeto più brutto che avesse mai visto, tanto che decise di disfarlo e provare a renderlo più bello, dato che doveva per forza stare nel suo soggiorno.
Per intere notti e interi giorni strattonò e strappò, tirò e snodò, tagliò e sfilacciò: per intere notti e interi giorni tinse ogni filo del tappeto con quanti più colori riuscì a trovare; per intere notti e interi giorni ricucì e tesse affinchè il tappeto bruttissimo diventasse bello liscio e soprattutto il più variopinto possibile.
Non scriveva affatto, e se per alcune notti e alcuni giorni la gente passò a controllare se fuori dalla porta ci fosse qualche foglio da raccogliere e ricordare, dopo un po' di tempo si stufarono, e il poeta triste venne dimenticato, come ci si dimentica qualche volta di ricercare ciò di cui si ha bisogno.
Nel frattempo il poeta era diventato molto vecchio, ma arrivò il giorno in cui finalmente finì il tappeto.
Era diventato un tappeto davvero meraviglioso, come non se ne sono mai visti: sembrava fatto di mille soli e mille giornate azzurre, e di mille raggi di luna e mille crepuscoli caldi al tempo stesso.
La trama sembrava raccontare una bellissima storia d'amore, e al tempo stesso portava a ricordare i giorni in cui si combatte contro l'odio.
Per non parlare poi di quanto era liscio, e fluido: sembrava quasi un liquido, un elisir di lunga gioia.
Il poeta lo guardò con orgoglio, e si rese conto di non essere più il poeta triste, ma il poeta più felice del mondo. Così decise di condividere con tutti il suo tappeto, perchè ormai non è che dovesse più stare per forza nel suo soggiorno.
Solo che la porta, dopo così tanto tempo, si era arrugginita, e non riuscì ad aprirla.
Allora andò alla finestra, e sciolse in tantissimi fili il suo tappeto, affinchè ciascuno potesse averne uno solo per sé: ma quando spalancò la finestra, fuori era tutto talmente bianco che venne accecato e gli sfuggirono fra le dita tutti quanti.
Quando riuscì a tenere un po' gli occhi aperti, e si guardò le mani, accadde una cosa incredibile: non si accorse che non stringevano più nulla, bensì che aveva le dita completamente ricoperte di migliaia e migliaia di colori, a furia di tingere ogni filo del tappeto.
Così il poeta non più triste si mise a ridere fortissimo, e si dimenticò come smettere di ridere, e dato che era davvero molto vecchio, morì, col sorriso sulle labbra, che pure erano colorate come tutto il resto della pelle.
I fili invece erano caduti ovunque: sulle strade, sugli alberi, sui letti nelle case, sulle scuole, sui tetti, sui palazzi dei governi, sugli scioperi, sugli uffici, sulle televisioni e sui sogni, e nel bianco che c'era dappertutto si notavano moltissimo: ma la gente non aveva più bisogno della poesia, e non se ne curò.
Solo gli amanti, i pittori, i bambini, i musici, i filosofi, gli insegnanti, i cantastorie e persino gli stessi poeti si chiesero a lungo cosa fossero, e piano piano li raccolsero tutti: quando li facevano scivolare fra le dita, gli amanti s'ispiravano, i pittori vedevano immagini dolcissime, i bambini cominciavano a cantare, i musici a comporre, i filosofi a sorridere, gli insegnanti a fantasticare, i cantastorie a girare per le città, e i poeti a pensare.
Così ognuno di loro prese l'abitudine di avere un filo tutto per sè.
Ma io adesso sento che è arrivato il momento di smettere di raccontarti questa storia, perchè mi sembra proprio di aver perso il mio.

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