Sono andata in un angolo di questa
città, fatto di sputi di sassi, lembi di cielo e una lingua di mare.
So che non ci viene mai nessuno, si prova disagio ad essere piccoli
in tanta sconfinatezza.
Appoggio il mio corpo nudo su un sasso per
volta, come bruciano, lasciano la loro impronta sulla mia pelle,
incavandola, invadendola. La canicola mi morde ginocchia e seni, le
sono più vicini. Verso il sangue bollente che esce a fiotti in
questo mare, la grande arteria del mondo.
Pesci che nuotano
intorno, corifei di un rito di iniziazione. Lascio che il sole mi
accechi fissando un punto sopra di me che si avvicina lentamente,
finchè non mi entra nella pancia tesa, invadendomi i muscoli.
Dura
solo qualche istante ma ritrovo il sentimento di me, estraneo ad ogni
altro frammento di Anima chiamato uomo, ed in questo silenzio sfumato
dal ronzio delle correnti marine, quest'azzurro terso come una
palpebra pronta ad avvolgermi così come sono, questo Sole che mi
acceca, come una novella Tiresia malinconica ed onnipotente, ecco che
qui sono la pace disarmante, il battito appena percepito, il respiro
profondo: la guarigione da ogni mio malessere.
-
Una volta
tornata in me, fuori, asciutta, in alto, via dalla scogliera,
dall'azzurro, dal gabbiano intristito, ho ricordato tutto, che odio
questa città e che qualsiasi città odia me, che il mio corpo si
ribella al mio sentire e non mi sento nemmeno respirare.. Cosa mi è
rimasto se non quell'amaro dubbio di aver sempre, ancora una volta
vissuto tante menzogne.